Strategie trend-following in tempo di crisi

by Silvio Bencini

Le strategie cosiddette “trend following” hanno avuto un rendimento molto positivo nel 2008 proteggendo gli investitori dal crollo dei mercati.

Grazie a questo successo le masse in gestione sono aumentate nei cinque anni successivi da 206 a 331 miliardi dollari.

Purtroppo, però, questi cinque anni hanno coinciso con performance deludenti. L’indice Newedge Trend ha avuto un rendimento annuo pari al -0,8% mentre i mercati azioni hanno avuto rendimenti a doppia cifra.

Ciò sta ovviamente inducendo molti investitori a chiedersi se questi risultati siano da considerarsi normali data la bassa correlazione di queste strategie con l’andamento dei mercati, o se, al contrario, queste strategie abbiano perso la loro utilità.

 

In un articolo recentemente pubblicato sul Journal of Alternative Investments [i]

due economisti dell’università di York cercano di rispondere alla domanda analizzando il comportamento delle strategie trend-following in cinque crisi “globali” e otto crisi regionali.

 

Gli autori analizzano il comportamento delle strategie trend following su un gruppo molto ampio di serie storiche di prezzi di contratti future: 21 serie di prezzi di materie prime, 13 di titoli di Stato, 20 di indici azionari e 9 di contratti a termine su divise[ii].

 

Le serie più lunghe di prezzi di contratti future sulle materie prime partono dal 1980. Per numerosi indici o tassi gli autori ricostruiscono valori equivalenti a quelli dei contratti future partendo dalla serie dei prezzi a contanti e perciò per alcuni di essi (azioni e bond USA e UK, ad esempio) ottengono serie che iniziano nel 1921. Considerando che le analisi hanno come data finale giugno 2013 si arriva a un massimo di 92 anni di dati.

 

Il risultato generale è che ciò che è accaduto negli ultimi 5 anni è coerente con quanto accaduto in passato: le strategie trend following soffrono effettivamente le grandi crisi di mercato, e hanno mediamente rendimenti pari a un terzo e metà di quelli in periodi identificati come “non crisi” per i 24 e 48 mesi successivi all’inizio di una crisi, inteso come la data dell’ultimo massimo di mercato.

La spiegazione sta nel fatto che la “autocorrelazione seriale” dei prezzi, che rende possibile l’efficacia delle strategie trend following, è alta nei periodi “no crisi”, ma si abbassa, fino a diventare in alcuni casi negativa, nei periodi di crisi (l’ipotesi più diffusa è che ciò sia dovuto alle oscillazioni “comportamentali” della fiducia degli investitori).

Questo peggioramento medio dei risultati si verifica rispetto al rendimento delle strategie in generale e in periodi di “non crisi” in particolare, non rispetto ai mercati finanziari.

Infatti, le strategie trend-following risultano i media largamente migliori delle strategie passive.

Ad esempio, nei primi due anni di una crisi i mercati azionari hanno avuto un rendimento annuo compreso fra -31,60% per l’indice Nasdaq e un massimo di +2,56% dell’indice svedese, con una media pari a -14,37%, mentre sullo stesso orizzonte temporale le strategie trend following azionarie hanno avuto un rendimento medio di +5,44%.

La conclusione degli autori è che non conviene scoraggiarsi. Ciò che è accaduto in questi anni è accaduto altre volte e non ha pregiudicato la redditività a lungo termine delle strategie trend-following e del fattore “momentum”.

Silvio Bencini

 

 

[i] Hutchinson M.C., O’Brien J. (2014) “Is this time different? Trend-Following and Financial Crises”, Journal of Alternative Investments, Fal 2014, 17, 2. Disponibile anche su SSRN http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2375733.

[ii] Questo campione, che è certamente molto ampio, è però superato da quello di due altri autori. Si veda Geczy C., Samonov M. (2012) “212 Years of Price Momentum
(The World’s Longest Backtest: 1801-2012) in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2292544

 

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